Parte del suo potere deriva dall’ombra.
Sentiamo la sua voce, lo conosciamo molto bene. Annuncia la sua presenza rumorosamente e scappa via in una scia di fumo.
Ma più e più volte, non riusciamo a guardarlo negli occhi, perché temiamo la sua potenza. Abbiamo paura che, come le gorgoni, ci faccia rimanere paralizzati dalla paura.
Sta vivendo proprio accanto al nostro punto più debole, il posto (molto) afflitto dove risiede la nostra vergogna, il nostro sentirci insufficienti, la nostra natura fraudolenta. E lui sa tutto su di esse, e ci colpisce ancora e ancora.
Come afferma Steve Chapman nel suo generoso discorso a TEDx, non deve assolutamente essere così. Possiamo usare il critico interiore come una bussola, un modo per sapere se stiamo andando nella direzione giusta.
Pema Chödrön suggerisce nella sua storia di invitare il critico a sedersi per bere un tè assieme. Accoglierlo invece di scappare.
Non è comodo, ma c’è un altro modo? Il punto debole non è proteggibile. Il critico scompare solo quando smettiamo di dargli importanza. Se ne va, semplicemente.
Possiamo ballare con lui, parlargli, accoglierlo durante un lungo e noioso viaggio in macchina. Improvvisamente, non è più così pericoloso. È una sorta di banalità, in realtà.
Non c’è una battaglia per vincere, perché non esiste una battaglia. Il critico non è potente come lo sei tu, non se sei disposto a guardarlo negli occhi.